Teoria del Caos e Cambiamento Climatico
di Giorgio Ballardin
L’articolo “Le certezze ecologiche sono insostenibili (forse)” di Luca De Biase, apparso su Nòva-Il Sole 24 Ore di giovedì 1° maggio 2008, pizzica puntualmente alcune questioni metodologiche legate alla comprensione del fenomeno cambiamento climatico. In questa vasta arena d’opinioni in cui ideologie politiche si fondono e si scontrano con teorie scientifiche, alcuni temi rimangono dibattuti. De Biase ci accompagna in un volo su princìpi e teorie, sotto il cielo del principio di precauzione, fulcro dall’Earth Summit di Rio de Janiero del 1992. Ma proprio il principio di precauzione sembra stridere, in certa misura, con il principio del dubbio, uno dei cardini della Scienza. Il principio di precauzione ci suggerisce che lo sforzo, principalmente economico, richiestoci ora per ridurre le emissioni di gas serra è inferiore rispetto alla perdita futura attesa, economica e non.
Per perdita attesa si intende il rapporto tra la probabilità (finita, per quanto piccola) che il cambiamento climatico abbia effetti disastrosi sul pianeta moltiplicato per il danno ecologico risultante (“infinito”, se si considera il caso di estinzione delle specie viventi), nel caso in cui la teoria antropogenica si rivelasse infine corretta. Volendo tracciare un paragone, l’argomentazione è simmetricamente opposta a quella di Blaise Pascal. Lo statistico francese cerca infatti di convincerci a credere nell’esistenza di Dio perché l’onere terreno della nostra devozione è finito, mentre la vita ultraterrena avrebbe un’utilità infinita. Anche attribuendo una probabilità arbitrariamente bassa allo scenario “Dio effettivamente esiste”, il gioco è vincente per il credente, a ragione di una questione puramente probabilistica. Il principio di causa-effetto – l’arma che ha consentito alla Scienza nei secoli, seppure con gran fatica e costi talvolta elevati, di assestare fendenti letali a teorie oscurantiste – non è ancora riuscito a gettare luce sulla relazione tra concentrazione di CO2 nell’atmosfera e andamento della temperatura media della Terra. Un rapido sguardo ai grafici relativi alle due variabili citate toglie ogni dubbio sul fatto che la correlazione tra le due variabili sia elevata. Ma, naturalmente, la correlazione è solo condizione necessaria, e non sufficiente, ad avallare l’ipotesi di un nesso causale. Solitamente questo genere d’empasse viene sciolto sperimentalmente, tramite lo standard aureo della Scienza, l’esperimento. Purtroppo, o forse per fortuna, non abbiamo una Terra esattamente uguale a quella in cui viviamo per verificare quale sarebbe l’effetto di non limitare le emissioni inquinanti per scoprire, infine, quale teoria fosse corretta e cosa avremmo dovuto fare nel 2008. Questo rimane un esercizio mentale o, al massimo, una simulazione al computer.
Dobbiamo confidare in altre linee di ricerca con cui rafforzare la nostra conoscenza di un clima che sembra cambiare strutturalmente. De Biase solletica un’altra questione relativa ai dati delle temperature medie: la definizione dei cicli. Un’analisi ravvicinata, che considerasse solo le decine d’anni più recenti, evidenzia una certa tendenze e determinate fluttuazioni. Volendo aumentare la scala temporale alle ultime centinaia d’anni, si nota come i cicli precedentemente identificati a livello locale si inseriscano entro un meta-modello. E’ facile immaginare come questi ultimi cicli siano parte integrante di un metameta- ciclo che consideri le ultime centinaia di migliaia d’anni. Il riferimento alla classica contrapposizione riduzionismo-olismo è palese: stiamo parlando di cicli a sé stanti oppure di un unico ciclo omnicomprensivo? E’ possibile tracciare una linea di confine tra un modello e il suo meta-modello? Infine, il problema decisionale del cambiamento climatico è tipico dell’ottimizzazione intertemporale stocastica. I sostenitori della teoria nonantropogenica valutano più positivamente l’ausilio che ci può derivare da nuove scoperte scientifiche. La crescita economia attuale e degli anni a venire fungerebbe da volano, secondo questa teoria, per la ricerca in R&D che, in ultimo, ci aiuterebbe a decarbonizzare drasticamente le economie. Posti di fronte allo stesso problema di decisione intertemporale, i sostenitori della teoria antropogenica, invece, sono più cauti nell’attribuire tali proprietà risolutrici a Scienza e Tecnologia. D’altro canto esistono alcuni limiti fisici, quali la Seconda Legge della Termodinamica, di fronte ai quali l’Ingegneria può solo chinare il capo. A prescindere dalla scuola di pensiero che si intenda appoggiare, ogni pianificatore intertemporale ha di fronte a sé un dilemma etico d’equità inter- e intragenerazionale. Trattandosi di risorse scarse da allocare – denaro, idrocarburi, uranio – il tipo di scelta da adottare avrà effetti, anche significativi, su chi si accollerà maggiormente i sacrifici e chi, invece, godrà delle conseguenze.
Può la Democrazia rispondere equamente a tale quesito? Che ruolo devono avere le generazioni future, non elettrìci per definizione, in questo processo decisionale? Questi ed altri temi verranno dibattuti nel corso delle conferenza annuale “Energy Scenarios, Technology and Climate Change” di IAASM a Roma, il prossimo 13 Giugno. IAASM è l’associazione degli ex-allievi della Scuola Mattei che aggrega professionisti nei campi dell’Energia e dell’Ambiente, ma anche della Finanza e dell’Industria. Tra i relatori presenti spiccano massimi esperti del Cambiamento Climatico a livello europeo e mondiale quali Carlo Carraio (Università di Venezia e FEEM), Frank Convery (University College Dublin), Ottmar Edenhofer (Potsdam Institute for Climate Impact Research), Gernot Klepper (Kiel Institute for World Economics) e Thomas Sterner (University of Gothenburg).